Hedda Sgabler di Henrik Ibsen


il cast
Hedda Sgabler Katia Brancadoro
Jorgen Tesman Gianluca Cassibba
Assessore Brack Massimiliano Scelsi
Thea Elvsted Alice Neirotti
Eijlert Lòvborg Ruggero Fracchia
Juliane Tesman Cristina Tira
Berte Nicoletta Capellino

Trucco Simona Busca
Console audio/luci Stefania Busca

Adattamento,
scene e regia Paolo Valpreda

La trama
Hedda, figlia del generale Sgabler, ha sposato Tesman, un intellettuale piccolo borghese che aspira ad una cattedra universitaria. Hedda ha da poco scoperto di essere incinta, ma vive la gravidanza come ulteriore occasione di frustrazione esistenziale. Hedda è soggetta alla corte di Brack, donnaiolo brillante ma frivolo, artefice della realizzazione del sogno della coppia novella, vale a dire la prestigiosa casa in cui i due si sono appena stabiliti. In questo contesto si inserisce la vecchia amica di collegio Thea, che è diventata la musa di Lòvborg, figura di intellettuale geniale e dissoluto al tempo stesso, assai più interessante del piatto Tesman e con il quale un tempo Hedda aveva intrattenuto una relazione. La notizia del ritorno di Lòvborg sconvolge un equilibrio già precario, creando una serie di esilaranti situazioni
La chiave di lettura
Qualche anno fa interpretai il personaggio di Jorgen Tesman in un allestimento tradizionale di “Hedda Gabler”. In quell’occasione non potei fare a meno di notare come l’autore avesse collocato sapientemente nel testo pochi e sottili spunti comici, probabilmente con lo scopo di alleggerire una vicenda sicuramente cupa, che vengono però puntualmente ignorati. D’altronde la critica si è sempre espressa negativamente nei confronti degli allestimenti di Hedda Gabler meno drammatici ove, ad esempio, la figura di Tesman viene ridicolizzata, e per i professionisti sappiamo quanto il giudizio positivo della critica sia importante. Il Piccolo Teatro inStabile gradisce questo tipo di consensi quando ci sono, ma corre volentieri il rischio di farne a meno in quanto il nostro punto di riferimento è il pubblico e per noi il piacere stando sul palcoscenico consiste nel sentire risate provenire dalla platea. Questo adattamento trae spunto dalla lettura in chiave comica della scena dell’album di fotografie del viaggio di nozze da parte di Hedda e Lòvborg, estesa al resto dell’adattamento ben oltre le deboli intenzioni di Ibsen (che il grande Henrik possa passare una serata tranquilla!), inventandoci la comicità laddove proprio non c’era. Vengono quindi restituiti personaggi estremamente caratterizzati e situazioni amplificate con l’intento di farvi trascorrere una serata allegra e la malcelata pretesa di fare sorgere in chi non conoscesse il testo originale la curiosità di confrontarlo con quanto visto stasera.
Buon divertimento!

Paolo Valpreda

LA CRITICA dice del testo originale
Hedda Gabler resta ancora oggi, a oltre cent ‘anni di distanza dal suo debutto, uno dei testi ibseniani più complessi, più difficili da definire e anche più controversi, e proprio per questo più equivocati, anche da critici intelligenti. Al di là della sua perfetta costruzione drammaturgica, è, ad esempio, notevole la cura con cui sono delineati i personaggi che circondano Hedda: il candido e debole marito Tesman che però «non è affatto uno stupido», come è stato rappresentato in certe messinscene, la dolce e affascinante Thea Elvsted, che non a caso è riuscita in qualche misura a trasformare lo sregolato utopista Lòvborg, la zia Julle che nella sua dedizione a Tesman è un personaggio assai felice e l’assessore Brack che non è per nulla uno squallido ricattatore e seduttore, ma un uomo che, pur nella sua spregiudicatezza, «non è così brutale come spesso viene rappresentato. Altrimenti, ancora una volta, non si capisce perché Hedda non lo prenda semplicemente a schiaffi e non lo butti fuori, oppure perché un uomo come Tesman possa avere con lui dei rapporti tanto stretti». Ma il discorso diventa assai più complicato quando si passa a analizzare Hedda e il suo atteggiamento nei confronti di sé stessa e degli altri. Il personaggio è certamente il più inquietante, enigmatico e contraddittorio dell’Ibsen della piena maturità. Non a caso è diventato oggetto delle interpretazioni più divergenti e più varie, con un’accentuazione di quelle psicanalitiche che ha condotto, ad esempio, un critico italiano a parlare delle pistole di suo padre, che Hedda ha conservato, come di «un simbolo fallico» e a interpretare tutto l’atteggiamento della protagonista come la spia di un incesto sognato con il padre. Ma se si lasciano da parte banalità di questo genere, del tutto estranee alle intenzioni di Ibsen, ci si accorge che l’obiettivo, pienamente raggiunto, era quello che egli stesso dichiarava al suo traduttore in francese, il conte Prozor, in una lettera del 4 dicembre 1890: «Il titolo dell’opera è Hedda Gabler. Col quale ho voluto significare che come personaggio è più da considerare figlia di suo padre che moglie di suo marito. In questo dramma non ho inteso affatto discutere dei cosiddetti problemi. Mio principale obiettivo è stato descrivere esseri umani sulla base di certe condizioni sociali ed idee di oggi». Dichiarazione illuminante che trova una perfetta corrispondenza (e ci permette un’adeguata lettura del dramma) in alcune righe di appunti scritte quando pensava al testo: «Capisaldi:
1, non tutte le donne sono create per esser madri;
2, può coesistere in una donna l’appetito dei sensi e il terrore dello scandalo;
3, possono certe donne concepire il bisogno di una missione nella vita, ma non riescono a farlo proprio». Il senso degli atteggiamenti di Hedda diventa più chiaro e più coerente drammaturgicamente se si parte da queste dichiarazioni di Ibsen, autore che, a differenza di Strindberg, ha sempre un‘idea rigorosa e precisa dei suoi testi. Basterebbe seguirne le indicazioni e saper leggere con intelligenza le sue opere per evitare interpretazioni non solo prive di fondamento, ma assurde fino al limite del ridicolo.

Giovanni Antonucci